San Pio V, la fabbrica di valori che non assomiglia a una scuola


Repubblica — 13 maggio 2005
pagina 15 sezione: MILANO

Un prete che come suoneria del cellulare si tiene Salagadula megicabula bibbidi-bobbidi-bu deve credere alle favole. Don Stefano Buttinoni è un po' così. La voce è bassa, i gesti misurati, eppure nel suo ufficio nella parrocchia San Pio V, in via Lattanzio, lo sguardo spazia da un grande arazzo con il cielo azzurro a un acquario popolato di scalari giganti. La favola di don Stefano è quella che porta sullo stesso piano la fede e la vita, mentre la seconda fa il possibile per contraddire e smentire la prima. è la missione del prete, d' accordo.

Con i ragazzi dell' oratorio, però, si deve anche colorare di poesia. «Seguo le orme di chi mi ha preceduto, che si era reso conto che il catechismo assomigliava troppo alla scuola. Non deve esistere una "scuola della fede" perché la fede la insegnano la vita, la famiglia, le relazioni. è sbagliato dal punto di vista simbolico, sebbene fosse comprensibile quando la religiosità era un sostrato culturale forte e il catechismo doveva fare ordine nella testa dei ragazzi, mettendo tutto nelle caselle giuste». Già, ma adesso... «Appunto. La società ha connotati più frastagliati e ostacola le famiglie nell' educazione, in quanto decostruisce i valori, perché i valori sono scomodi nella società dei consumi». Dunque via libri, quaderni, registri delle presenze per venire ammessi ai sacramenti. «Importante - riprende don Stefano - è stare bene assieme. Banale? Mica tanto. In oratorio si deve venire volentieri. Ad esempio, è con dei giochi che cerchiamo di introdurre alla complessa simbologia della messa. Secondo, occorre coinvolgere il più possibile le famiglie. Anche mettendo in scena con adulti e bambini brani del Vangelo. Come l' Ultima Cena».

Quindi un babbo ha impersonato Giuda. «Certo. Suo figlio ci ha riflettuto: "Per me Giuda non era cattivo, si è sbagliato". E ha apprezzato l' interpretazione del papà. Sono cose semplici, sia chiaro, ma per ora funzionano». Quanto siano efficaci, aggiunge don Buttinoni, lo si scoprirà fra 25 anni, quando gli attuali bambini manderanno oppure no i loro figli all' oratorio. Intanto i genitori di oggi spesso dicono cose del tipo «se anche a me avessero insegnato il catechismo così... «. E poi, se una volta dopo la cresima solo un decimo dei ragazzi continuava a frequentare la chiesa, adesso siamo alla metà. Un pezzo di favola è già scritto.

La serenità di don Stefano matura alla Comasina, dove da ragazzino frequenta una scuola cattolica, il Cor Jesus. Dentro ci sono i ceffoni di suor Teresa, spauracchio di generazioni di ragazzi, fuori la mala degli anni '60. In strada fanno i gradassi i fratelli "Balena", Nino e Gino, ma il vero boss è Michele Argento e il più ammirato dal quartiere è lui, Renato Vallanzasca: «Correvamo fuori da scuola per vederlo passare sul Bmw», ricorda don Stefano. Era l' unico ad averlo. E se aveva problemi di accensione, chiedeva ai ragazzini di spingere l' auto. A ciascuno dava mille lire, che allora erano soldi. Più tardi il bastone del comando passa a Pepè Flachi e suo figlio Davidino è regolarmente iscritto al catechismo. L' ex figlio della Comasina («terra di missione») a 38 anni si trova, con il parroco e altri due sacerdoti, in una parrocchia che conta ormai 30mila abitanti, con le case popolari (il quartiere Aler Molise-Calvairate), la povertà, gli anziani soli, il disagio mentale, la marginalità sociale, gli stranieri.

Una decina di islamici frequenta l' oratorio per le attività non confessionali. In generale l' ipotesi dell'oratorio "parcheggio per famiglie" qui è ritenuta improbabile e comunque non scandalizza nessuno. Non sorprende dunque che, parlando delle sue attività, don Stefano metta l' accento sulla parola «custodia».

Dice: «La morale è per tutti, la misericordia è per ciascuno, la custodia è a tu per tu».

In cortile ci sono parecchie bambine, che dopo l'oblio calato sugli oratori femminili («e per il fatto che si svegliano prima», dicono i preti sottovoce) erano un po' sparite. In via Lattanzio, però, ci sono una scuola di danza per 180 piccole etoile e una squadra di pallavolo femminile. Don Stefano non si arrende facilmente: «Invece di puntare ai grandi numeri ho scelto di alzare il tiro delle proposte. Contro le previsioni, si sono alzati anche i numeri». Fra il campo di pallone e le due palazzine dell' oratorio da ristrutturare, ragazze e ragazzi «si incontrano, si innamorano, si morosano. Perché no? Ci fa piacere».

Attorno al cortile, i bassi edifici malridotti annessi alla chiesa richiedono un rifacimento radicale da 1,7 milioni, una grossa somma per la quale la Curia non sborserà un soldo, dato che la parrocchia è popolosa. Ci si arrangerà con i contributi dei fedeli, le sottoscrizioni a premi (ne è appena partita una) e un mutuo a dieci anni, previa autorizzazione della diocesi. Con alcuni vincoli. Non limitare l' assistenza caritativa né l' attività dell' oratorio (solo nell' ultimo oratorio estivo, 430 ragazzi e 32 laboratori in contemporanea).

E una scelta etica dell' impresa: «Niente lavoratori edili in nero, ci mancherebbe». Perché la favola abbia per tutti un lieto fine.
- STEFANO ROSSI